Le sfide della digitalizzazione in Europa al centro
della conferenza di Barcellona
Al corso organizzato a Helsinki da MEDIA Salles
lo scorso febbraio, Michael Karagosian – l’esperto che ha accompagnato
l’associazione degli esercenti statunitensi nell’approccio al digitale
- ha scelto questo titolo per il suo intervento: “11 anni di cinema
digitale e stiamo ancora parlando della fase di lancio”. Risale infatti
al 1999 quella che viene considerata la prima proiezione digitale commerciale:
un decennio più tardi gli schermi che hanno adottato la nuova
tecnologia erano diventati circa 9.000*. Ci si può chiedere se
siano tanti o pochi, ma ciò che è assolutamente fuori
discussione è che la transizione al digitale sia oggi il tema
più scottante per l’industria del cinema. Ad esso è stata
dedicata la conferenza voluta dal Governo Spagnolo a cui tocca attualmente
il semestre di presidenza dell’Unione.
Da sinistra: Antonie Drzymala, Affari Legali, XDC Cinema, Belgio
David Hancock, analista e direttore di Film e Cinema, Screen
Digest
Steve Perrin, Amministratore Delegato, UK Digital Funding Group
Rickard Gramfors, Project Manager, Digital House, Folkets Hus och Parker
La Spagna invita l’Europa a una riflessione
su nuove tecnologie e indipendenza delle sale.
A Barcellona per due giorni si è parlato di digitalizzazione,
con un taglio specifico: l’impatto che essa potrà avere sul settore
dell’esercizio indipendente. I circa 200 invitati – funzionari delle
istituzioni pubbliche competenti in materia di cinema ed esperti provenienti
dal mondo professionale – si sono interrogati in particolare sui modelli
economici – già sperimentati o in via di studio – che potrebbero
finanziare la transizione, superando il paradosso che è alla
base di questa rivoluzione: la promessa di risparmi sul fronte della
distribuzione, la necessità di investimenti da parte dell’esercizio.
Può bastare il VPF a finanziare
la digitalizzazione dei cinema d’Europa?
Riflettori puntati dunque sul VPF, considerato nel documento preparatorio,
redatto dal “Think Tank on European Film and Film Policy”, come l’unico
meccanismo praticabile in un’ottica puramente commerciale per trasferire
risorse dalla distribuzione all’esercizio, qualora gli esercenti non
scelgano di convertire le attrezzature di proiezione a loro spese. Meccanismo
peraltro non privo di “effetti indesiderati” soprattutto in un contesto
come quello europeo, caratterizzato da una moltitudine di imprese di
esercizio in buona misura piccole o medio-piccole talora restie ad accettare
che nella tradizionale dinamica distributore/esercizio entri un terzo
soggetto, ovvero l’intermediario finanziario che da una parte anticipa
il denaro per l’acquisto delle attrezzature e dall’altra lo recupera
col VPF, cioè col contributo dei distributori.
Ma anche qualora si superassero le obiezioni nei confronti dell’intermediario
– figura che si è resa necessaria dal momento che gli studios,
pur disposti a cofinanziare la transizione, hanno posto come condizione
che questo contributo – a fini speciali e di durata prefissata - non
si confondesse o sovrapponesse in nessun modo con il canone di noleggio,
un’altra questione cruciale resta aperta in Europa: quanti schermi resterebbero
tagliati fuori dal VPF “classico”? Il Think Tank stima una forchetta
piuttosto ampia: dai 6.000 ai 14.000 schermi (su un totale di circa
30.000). Aggiunge pure che il modello VPF, il cui ammontare è
calcolato sulle consolidate dinamiche distributive dei film in 35mm,
perpetuerebbe le logiche proprie del mercato basato sulla pellicola,
negando o perlomeno ritardando in maniera considerevole i benefici che
la digitalizzazione promette. Da una parte infatti i distributori non
risparmieranno sino a quando non avranno finito di pagare il VPF, dall’altra
gli esercenti non beneficeranno pienamente della flessibilità
della programmazione sino a quando non saranno diventati i proprietari
delle attrezzature (che per la durata dell’accordo VPF appartengono
all’organismo finanziatore).
Gli intermediari attivi in Europa affermano
di poter digitalizzare oltre l’80% degli schermi
A sostenere la validità del VPF sono – ovviamente – le società
che in Europa si sono proposte come intermediari: XDC (che ha firmato
sinora accordi per digitalizzare oltre 700 schermi), AAM (poco meno
di 500), Ymagis (quasi 200). Jean Mizrahi, amministratore delegato di
Ymagis, ritiene che con il VPF si riesca a convertire l’80% o addirittura
il 90% degli schermi del Vecchio Continente.
“Di conseguenza – ha affermato - non c’è bisogno che lo Stato
si sostituisca ai privati. Spero che l’Unione Europea faccia chiarezza
su questa situazione”.
Perché gli intermediari possano svolgere il loro ruolo è
peraltro fondamentale che ci sia accesso al credito bancario. A dar
loro una mano, nell’attuale situazione di crisi finanziaria, sembra
disposta la BEI: “Possiamo assistere chi si rivolge a noi con un piano
economico. Ma non spetta a noi individuare modelli”, ha affermato Patrick
Vanhoudt.
Da sinistra: Primitivo Rodriguez, President of SECIES
Elisabetta Brunella, Secretary General of MEDIA Salles
Antonio Carballo, Chief Editor of CineInforme
Quali prospettive dal settore pubblico?
Che la pura trasposizione del VPF, soprattutto se “all’americana”, non
sia praticabile – e addirittura non auspicabile - lo pensano in molti
in Europa. Per ragioni oggettive, da una parte: così come l’esercizio,
è frammentata – forse in misura ancora maggiore – la distribuzione
europea. E il VPF tanto più funziona quanto più include
schermi e contenuti. Non a caso gli accordi standard negli USA richiedono
che si digitalizzino tutti gli schermi di un complesso e riguardano
i film delle majors che controllano oltre il 90% del mercato.
E poi è diffusa la preoccupazione che le sale sia tanto più
compatibili col VPF quanto più orientate ai film di Hollywood,
a discapito delle produzioni nazionali ed europee.
Se poi si aggiunge che in Europa le sale sono considerate importanti
non solo per la loro valenza economica, ma anche per il ruolo sociale
e culturale che rivestono nella società e sul territorio, si
capisce perché sono molte le istituzioni che paventano che la
proiezione digitale, invece che una chance in più per il settore
cinematografico, diventi uno spartiacque tecnologico, che separerà
chi la nuova tecnologia può permettersela e chi no.
A breve il primo schema del Programma MEDIA
per il finanziamento dell’attrezzatura digitale
A Barcellona la Commissione Europea, co-promotrice della Conferenza
– ha confermato che il Programma MEDIA interverrà a sostegno
della digitalizzazione in funzione della salvaguardia della diversità
culturale e della tutela delle sale che sarebbero “a rischio” in un’ottica
puramente commerciale. Lo ha annunciato Odile Quentin, a nome della
DG Cultura della Commissione Europea, nel cui alveo è appena
tornato il Programma MEDIA dopo una non breve permanenza nell’ambito
della Società dell’Informazione, lo ha ribadito Aviva Silver,
capo del Programma MEDIA, che ha illustrato i risultati della consultazione
pubblica lanciata il 16 ottobre 2009, lo ha spiegato Hughes Becquart
che ha tracciato il calendario dell’azione comunitaria. A breve partirà
lo studio che consentirà di stabilire le cifre forfettarie che
le sale - a seconda delle loro caratteristiche, della loro ubicazione
e dell’attrezzatura a loro adatta – potranno ricevere da Bruxelles se
saranno selezionate sulla base di un bando il cui lancio è previsto
alla fine dell’estate 2010. Quattro milioni di euro la dotazione finanziaria
per il primo anno: a qualcuno potranno sembrare pochi se si considera
che la stima del costo della digitalizzazione di uno schermo si aggira
sui 70.000/100.000 euro, ma certo c’è da registrare che per la
prima volta il sostegno del Programma MEDIA alla circolazione dei film
europei include anche un finanziamento per l’attrezzatura con l’obiettivo
di assicurare un’adeguata presenza delle produzioni del Vecchio Continente
anche nelle sale digitali.
A livello nazionale una varietà di situazioni
e politiche di intervento
La Conferenza di Barcellona ha offerto uno spazio di confronto sulle
iniziative adottate in vari paesi europei in tema di digitalizzazione
del cinema.
Dopo l’intervento pionieristico del Regno Unito, dove il denaro della
Lotteria e il disegno dello UK Film Council, mirato ad incrementare
l’offerta di prodotti “non mainstream” sull’insieme del territorio britannico,
ha portato alla digitalizzazione di 240 schermi – assai diversificati
per tipologia e posizionamento - noti col nome di Digital Screen Network,
il piano norvegese risulta quello più organico, seppur meno trasferibile
ad altre realtà. La Norvegia – dove la stragrande maggioranza
delle sale è infatti di proprietà municipale – ha scelto
una via al digitale che includa la totalità degli schermi. Per
questo ha elaborato una formula originale di VPF misto, che vede non
solo la partecipazione dei distributori (è stata condotta una
trattativa direttamente con le majors) e degli esercenti, ma anche quello
dell’istituzione pubblica, basato in larga parte sull’utilizzo della
tassa di scopo applicata alle attività cinematografiche.
“Non uno di meno” è il principio che ispira pure la Finlandia,
dove l’intervento del Ministero della Cultura si è diretto alla
digitalizzazione sia degli schermi (una cinquantina, cioè circa
il 15% del parco nazionale, nella prima fase già completata)
sia dell’insieme della filiera cinematografica. Praticamente la totalità
della produzione nazionale è infatti regolarmente disponibile
in versione digitale in un paese che vede nella cultura abbinata alla
tecnologia più avanzata un fattore di sviluppo economico e sociale.
Un piano complessivo – basato sul concetto mutualistico – era anche
quello ideato dal CNC in Francia. Bocciato dall’Autorità nazionale
competente in materia di concorrenza, il programma sarà probabilmente
convertito in uno schema selettivo, mirato alle sale che più
difficilmente avrebbero accesso ai modelli puramente commerciali. “È
chiaro che è ormai necessario agire con rapidità. Tutti,
dopo aver mantenuto una posizione attendista, a partire dall’uscita
di Avatar hanno una gran fretta” – ha affermato Lionel Bertinet del
CNC - “Anche noi cercheremo di agire velocemente, in due modi: con l’aiuto
diretto alle sale e con la legislazione. L’obiettivo è includere
la distribuzione nel finanziamento della conversione al digitale così
come garantire trasparenza al settore e libero accesso ai prodotti”.
Un particolare interesse ha suscitato a Barcellona il piano messo a
punto dall’Italia – uno dei paesi europei col parco sale più
esteso - per agevolare la digitalizzazione degli schermi attraverso
la misura del credito di imposta.
Il dinamismo delle regioni può avvalersi
dell’aiuto comunitario
Un esempio felice di intervento regionale è stato portato alla
Conferenza da Marta Materska-Samek che ha presentato la rete di cinema
digitali della Malopolska, l’area che da Cracovia si estende a sud verso
la Slovacchia. Questo progetto si è aggiudicato il sostegno del
Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, un salvadanaio decisamente ricco,
a cui però aspira una varietà di progetti assai ampia.
Come ha spiegato Pierre Godin, a nome della DG Politiche Regionali della
Commissione Europea, il Fondo non può finanziare il puro e semplice
acquisto di proiettori digitali. Può però sostenere progetti
di sviluppo del territorio – per esempio di rigenerazione urbana - che
nei cinema abbiano il loro fulcro.
Informazione e formazione per accompagnare la
transizione al digitale
Di fronte alla complessità delle sfide poste dalla digitalizzazione
– emerse sia dagli interventi dei relatori sia dalle domande e dalle
osservazioni affidate dai partecipanti ai pc che consentivano un dibattito
“virtuale” – particolarmente avvertita è stata l’esigenza di
iniziative di formazione. Se qualcosa infatti appare chiaro a tutti
è che la digitalizzazione è un fenomeno molto più
complesso che la mera sostituzione di apparecchiature. Più che
competenze essenzialmente tecniche servono dunque una nuova mentalità
e un modo nuovo di fare e di proporre il cinema.
Elisabetta Brunella
*Le statistiche di MEDIA Salles al 1°.1.2009
rilevano 8.728 schermi dotati di tecnologia DLP Cinema o SXRD in tutto
il mondo.
La versione integrale di questo articolo è
stata pubblicata nel “Giornale dello Spettacolo” n. 8, del 23 aprile
2010
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