CINEMA E SCHERMI IN EUROPA. QUANTI SONO?

 Mi fa molto piacere parlare della sala cinematografica che svolge un ruolo fondamentale per il successo dell’intera filiera cinematografica. Prima di entrare nel vivo della situazione attuale, segnata fortemente dalla pandemia, vorrei dare un'idea dell'offerta delle sale cinematografiche in Europa. Nei paesi che noi osserviamo (MEDIA Salles è nata nel 1991 e da allora sta monitorando costantemente l’evoluzione del settore cinematografico), dall’Islanda alla Russia, dal Portogallo alla Turchia - quindi un territorio molto più ampio di quello dell’Unione Europea - ci sono oggi oltre 40.000 schermi. Si tratta di un numero che nell'ultimo trentennio è andato complessivamente crescendo. Parallelamente si sono verificati significativi cambiamenti nel modo di fruire cinema. Dopo la grande crisi degli anni Ottanta - quando i biglietti venduti, soprattutto nell'Europa Occidentale, hanno toccato il minimo storico - il fenomeno che ha maggiormente segnato il settore dell'esercizio è stato l’avvento dei multiplex, che può essere anche descritto come la concentrazione di più schermi in un numero minore di luoghi. Prendiamo per esempio il Regno Unito, uno dei sei maggiori mercati europei con Russia, Francia, Germania, Spagna e Italia: nel 1993 aveva 1.800 schermi, 27 anni dopo 4.500. Nel 1993 i complessi cinematografici erano 700 mentre 27 anni dopo sono “solo” 800. Questo significa appunto che è cambiato il tipo di offerta: molti più schermi cinematografici concentrati in un numero relativamente minore di località. 
 

BIGLIETTI VENDUTI E FREQUENZA MEDIA ANNUALE

Oltre agli schermi, sono aumentati anche gli spettatori. Nel 2019 l'Europa* ha registrato un numero record di biglietti venduti - circa 1 miliardo e 350 milioni - con incassi che si aggirano intorno ai 9 miliardi di euro. 

Un mercato molto frammentato, nel senso che ci sono tendenze assai diversificate a seconda dei territori. Prendiamo come indicatore la frequenza: quante volte va al cinema un cittadino dell’Europa, in un anno? Mediamente ci va un po’ meno di 2 volte, ma con delle differenze enormi. Per esempio in Bosnia Erzegovina la frequenza media è dello 0,35 pro capite, quindi ci vogliono 3 persone per vendere un biglietto. In Francia la frequenza media è oltre i 3 biglietti per persona. Il record, ve lo dico per curiosità, è quello dell’Islanda. Ogni cittadino islandese va tre volte e mezzo al cinema ogni anno. L’Italia si colloca intorno alla media generale europea che è all’incirca di 1,6 biglietti a testa, ovviamente con più o meno lievi oscillazioni a seconda degli anni.
 

DA DOVE VENGONO I FILM CHE SI VEDONO IN EUROPA?

Che cosa vedono gli Europei? Molto cinema che arriva dagli Stati Uniti, poi a seconda dei paesi una quantità più o meno ampia di film nazionali, con punte molto elevate in Francia, ma anche – per citare solo alcuni paesi - in Italia, Germania, Turchia. Vedono quindi i film degli altri paesi europei con percentuali sull’insieme dei biglietti venduti molto variabili. Nel Regno Unito solo il 5% dei biglietti va a film che non sono né nazionali né provenienti dagli USA o dagli altri paesi del mondo che raggiungono generalmente una quota molto bassa. In Svizzera - paese di lingua al contempo italiana, francese e tedesca - si vedono molti film che vengono prodotti in lingua italiana, francese o tedesca, e quindi i film europei raggiungono il 25%. Quindi, come vi dicevo è piuttosto difficile parlare di un mercato europeo del cinema sul grande schermo come se si trattasse di un mercato omogeneo nei vari Paesi.

Con qualche eccezione, si può dire che non è facile, per i film prodotti in un certo stato europeo, conquistare altri mercati. In questo scenario, quali sono le produzioni italiane che varcano i confini del Bel Paese?

 

IL CINEMA ITALIANO

 Per darvi un'idea delle produzioni italiane che varcano i confini del Bel Paese, presento qui alcune tipologie, citando alcuni esempi significativi.

L’Italia viene considerata un paese fondamentale nella storia del cinema, ha grande prestigio e questo si riverbera sul fatto che tra i film che si vedono all’estero ci sono tuttora i grandi classici. Quindi anche oggi troviamo regolarmente, soprattutto in paesi come la Francia o il Belgio, delle presentazioni di film dei grandi maestri, come Fellini o di Visconti. Titoli come “Senso” o “La dolce vita” sono dei sempreverdi che ancora oggi raggiungono il grande schermo, magari in forma di rassegna. Se prendiamo in considerazione il 2019, Nuovo cinema Paradiso si è collocato settimo nella classifica dei film italiani visti in Norvegia, dove si è visto anche “Cesare deve morire”. Ci sono anche dei film "del patrimonio" che tornano in sala sulla scia di nuovi film. Per rendere più chiaro questo discorso, cito per esempio di “Suspiria” di Guadagnino uscito in Finlandia insieme ad una serie di film di Dario Argento. Continua quindi ad essere attuale l'idea di creare dei legami tra la nuova produzione italiana e quei film che potrebbero esserne considerati le radici o i riferimenti. 

Da tutto questo emerge che il cinema italiano che funziona meglio in versione export, è solitamente quello che viene chiamato il cinema d’essai o cinema di qualità, che non vuol dire necessariamente di nicchia. Un esempio per tutti può essere "La vita è bella" che è stata vista in Italia da oltre 5,7 milioni di spettatori e complessivamente in Europa da circa 20 milioni di spettatori.

Che cosa non viaggia invece? Non viaggiano le commedie popolari e i film comici. Non viaggiano quelli italiani, ma nemmeno quelli degli altri paesi in generale. Una famosa frase spiega questo fatto: “Nel mondo si piange per gli stessi motivi, mentre si ride per motivi assolutamente diversi.” Di conseguenza, i film più popolari, con un intento comico - quelli che in patria possono trasformare l'intero incasso annuale in un incasso record - viaggiano poco. 

Quali fattori possono contribuire al successo di un film italiano all'estero? Tra i motivi di interesse per altri mercati compare per esempio la presenza di attori stranieri. Un esempio che risale al 2000 è quello di “Pane e tulipani” che ebbe un grande successo in Europa ed in particolare nei paesi di lingua tedesca perché tra gli attori c’era Bruno Ganz: una storia molto italiana, ma allo stesso tempo con un elemento molto riconoscibile anche da parte di spettatori stranieri. 

Funzionano anche le co-produzioni. Il 2018 è stato un anno eccezionale per la fama del cinema italiano perché il film di Guadagnino “Call me by your name” ha avuto un successo non solo esteso - per numero di spettatori e numero di territori raggiunti - ma anche per la contemporaneità della distribuzione. Un limite infatti che emerge nella diffusione dei film italiani è che talora sono necessari anche uno o due anni per guadagnare tutti quei territori in cui vengono acquisiti i diritti per le sale. Uno scenario quindi molto diverso dal day and date. Il film di Guadagnino, co-produzione con alle spalle una distribuzione di tipo internazionale, assicurata da una major, ha avuto non solo un grande successo ma un'affermazione praticamente in contemporanea in tutto il mondo. 

La co-produzione e uno schema distributivo internazionale sono elementi che non è detto che funzionino sempre, ma che in generale rappresentano un fattore facilitante.



NON SOLO FILM, MA ANCHE CONTENUTI AGGIUNTIVI

Vorrei anche aggiungere un altro aspetto un po' nuovo. Le sale cinematografiche, da quando sono passate alla proiezione digitale, soprattutto se hanno delle connessioni satellitari, si sono trasformate in poli di diffusione sul grande schermo di produzioni culturali ed artistiche. Si è quindi sviluppata una significativa produzione di quelli che si chiamano “contenuti aggiuntivi”, o in inglese “event cinema”: prodotti fondamentalmente di tipo culturale, basati sull’arte, sulla musica, su grandi mostre che vengono allestite nei principali musei del mondo e che vengono appunto trasformati in una produzione audiovisiva e in un'esperienza sul grande schermo. Questa è la novità degli ultimi anni, a partire dalle prime della Scala per arrivare ai concerti de “Il volo”, passando per gli “art films” su grandi personaggi italiani che hanno fatto la storia universale dell’arte come Caravaggio, Bernini, Raffaello. 

L'immagine dell’Italia sul grande schermo adesso viene anche affidata a questo nuovo tipo di produzioni che si collocano soprattutto nel già ricordato filone delle sale d’essai, delle sale di qualità, che hanno come target un pubblico sicuramente più esigente e anche degli spettatori di solito di età più matura. Si tratta di un pubblico disposto anche a pagare un biglietto per questo tipo di esperienza più elevato del classico biglietto cinematografico, ma che resta comunque competitivo rispetto alla fruizione di un concerto o di una performance dal vivo. 

Tra i titoli più recenti, compare la co-produzione su Pavarotti che, battendo bandiera italiana, statunitense e francese, ha avuto una distribuzione su scala internazionale ed ha ottenuto successo anche negli USA. Ma ci sono pure altri mercati. Per esempio l’Ungheria, dove il genere degli art films ha un grande successo. 

E qui inserirei un altro elemento vincente: la presenza di case di distribuzione che in un certo senso si specializzano nelle produzioni che arrivano dall’Italia. Può bastare - per i film ma a maggior ragione per il mercato meno esteso dei contenuti aggiuntivi - un solo distributore particolarmente focalizzato sulle produzioni italiane per far sì che esse riescano ad ottenere risultati decisamente lusinghieri. In Ungheria è il caso di Pannonia Entertainment.

 

LE ASPETTATIVE DEGLI SPETTATORI STRANIERI VERSO LE PRODUZIONI ITALIANE

Che cosa cercano gli spettatori stranieri nelle produzioni italiane, in particolare in quelle di oggi? Che vogliano ritrovare delle esperienze e delle conoscenze che hanno dell’Italia lo mostra curiosamente la traduzione dei titoli di film italiani. Abbiamo fatto un piccolo approfondimento sui paesi scandinavi. Per esempio il film che in Italia si chiama “Quanto basta” ha, in quei paesi, un titolo che suona “Sapore di Toscana”. Ugualmente “Le meraviglie” è stato tradotto con “Miracolo in Toscana”, “A casa tutti bene” con “La mia famiglia italiana”. 

Ricorre l'idea di attirare lo spettatore suscitando il ricordo di esperienze in Italia, magari le vacanze nello Stivale, ma anche rinnovando clichés o rievocando figure diventate simboliche. “La paranza dei bambini” viene tradotta come “I bambini della Camorra”, mentre un titolo poco trasparente come “Loro” è stato trasformato in “Silvio e gli altri”. 

L'idea alla base è un po' sempre la stessa e si riallaccia al fatto che - come si dice - a tutti noi piaccia di più riconoscere che conoscere. Ecco, questo modo di tradurre i titoli mi sembra che faccia un po’ leva su questo fatto di riconoscere qualche cosa dell’Italia, di bello e qualche volta anche di un po' stereotipato.



"ITALIAN SOUNDING" ANCHE NEL CINEMA?

Concluderei questa parte, per essere piuttosto ottimista, ma nemmeno lontana dalla realtà, dicendo che il mondo del cinema senza l’Italia non ce la fa. C'è un prestigio talmente elevato del cinema e della cultura italiana che talora sono "gli altri" che producono film "che sembrino italiani". Ricordo per esempio un gradevole film danese che si chiamava “Italiano per principianti” e raccontava una storia di relazioni di persone accomunate dalla frequenza di lezioni di italiano. Questa classe finiva il suo corso a Venezia, con l'idea di trasferire in questo film, che non era di fatto un film sull’Italia, il legame e l'amore per il Bel Paese e il suo stile di vita. Oppure pensiamo al primo contenuto aggiuntivo che ha avuto veramente un grande successo internazionale: è stato un exhibition based art film realizzato in Gran Bretagna sulla mostra di Pompei al British Museum. Una sorta di produzione italiana indiretta.

Così come esistono degli art films sui grandi artisti italiani che non vengono prodotti in Italia. Che cosa possiamo dire? Una grande opportunità. Se riesce a coglierla l’industria cinematografica italiana, non è meglio? Si ridurrebbe il rischio di vedere prodotti di sapore italiano realizzati all’estero. Una sorta di "Italian sounding" trasferito dal settore agroalimentare a quello audiovisivo ...



L'ITALIA COME LOCATION

Toccherei ancora l'aspetto dell'Italia come location. Se torniamo per esempio a “Call me by your name”, possiamo dire che Cremona è diventata una località ambita dal turismo internazionale grazie anche al film di Guadagnino, pur non essendo una città come Firenze, Venezia o Roma, o anche Matera che ha una sua tradizione cinematografica. C’è un legame molto stretto tra quel territorio che gli stranieri vorrebbero vedere e i film. Ricordo una volta un programmatore di sale cinematografiche statunitense che mi diceva che il suo pubblico si lamentava che pochi film portassero sugli schermi degli Stati Uniti dei paesaggi e luoghi italiani che gli Americani potessero riconoscere. Questo è uno dei fattori che ci riporta al fenomeno dell' "Italian sounding" cinematografico di cui abbiamo parlato poco fa.



IL CINEMA IN SALA E LA PANDEMIA

Rispondo volentieri alla domanda su che cosa sia successo al cinema in sala durante il Covid. 

Distinguerei una prima fase, iniziata a date diverse, ma comunque generalmente in marzo, in cui le sale praticamente di tutt'Europa sono state chiuse da provvedimenti assunti a livello nazionale o regionale. A quel punto molti esercenti si sono ingegnati a trovare delle formule per rimanere in contatto con il proprio pubblico, perché se da una parte è vero che il consumo di cinema sulle piattaforme si sia sviluppato in modo incredibile - Eurovod stima che i suoi soci abbiano avuto incrementi tra il 15% e 1.000% - dall’altra parte si è visto che anche chi consumava film sulle piattaforme voleva in un certo senso replicare "l’uscita" al cinema. Controprova? In Irlanda le vendite di pop corn nei supermercati sono aumentate del 63%. 

Quindi questo per dire che il pubblico vuole non solo vedere i film, ma avere l’esperienza del cinema. Molte iniziative - cito ad esempio quella chiamata "Remote Cinema" organizzata dalla catena d'essai “Budapest Film” in Ungheria oppure “Cinema sul sofà” in Repubblica Slovacca - sono state lanciate dalle sale cinematografiche utilizzando piattaforme proprie oppure appoggiandosi a piattaforme già esistenti, ma in modo da rimandare i clienti al proprio cinema. L'obiettivo era riproporre le modalità della fruizione sul grande schermo, per esempio con spettacoli ad orari fissi o con l'intervento di un critico come se si fosse in sala. 

Ci sono state attività di ogni genere, più o meno innovative o basate sulla tecnologia digitale, come quelle già citate. Aggiungerei tuttavia la seconda vita del drive in. Sembrava estinto e in declino anche nella sua patria, cioè negli Stati Uniti, eppure sono rinate forme di drive in di vario genere. Negli USA una soluzione molto diffusa è stata la trasformazione dei parcheggi delle sale cinematografiche in drive in, con proiezioni sui muri perimetrali dei multiplex. 

Ma la creatività non ha conosciuto limiti: a Mantova - incrociando l'idea del drive in con la più usuale arena estiva all'italiana - è nato l'ecofriendly “bike in”. Grazie agli schermi gonfiabili è stato relativamente facile allestire proiezioni all’aperto e quindi garantire la sicurezza in maniera molto agile. Per citare qualche altro esempio in Italia, il Cinema Beltrade a Milano ha proposto film con una sua piattaforma, mentre Piccoli Cinema Paradiso ha portato proiezioni sulle spiagge adottando appunto schermi gonfiabili.

CHE PROSPETTIVE PER L'ESERCIZIO?

Che conclusioni possiamo trarre? Qualcuno dice "chi parla di sala cinematografica in epoca di Covid vuole replicare un vecchio modo di fruire del cinema”, io credo invece che l'esperienza collettiva di visione sul grande schermo sia rimasta un'esigenza fortemente sentita, addirittura forse acuita dalla sua mancanza nel periodo del primo lockdown. Con differenze tra un mercato e l'altro - ma la diversità è la cifra delle modalità del consumo di cinema in Europa - non appena le sale sono state riaperte e - fattore cruciale - è arrivato sul grande schermo qualche (purtroppo molto raro) titolo nuovo di richiamo popolare, gli spettatori sono tornati in sala.

 Adesso stiamo vivendo più o meno in tutt'Europa una seconda ondata di chiusure di sale cinematografiche, che però - a differenza della prima - avviene in maniera non omogenea all'interno della stessa nazione o addirittura regione. Quindi ci sono sale aperte con restrizioni ed altre chiuse, su decreto o per decisione delle catene stesse. 

E sul fronte della distribuzione, i nuovi film di grande richiamo popolare tendono a rimandare le date di uscita. Questa situazione non consente quindi, se non localmente, di sfruttare il tradizionale incremento di pubblico della stagione natalizia per recuperare parte delle perdite subite nei primi novi mesi, in cui i primi dati disponibili parlano di incassi diminuiti del 30% - 50%. Di conseguenza la ricchezza delle energie emerse nel primo lockdown, che ha consentito alle sale - in particolare nelle piccole realtà e nel settore d’essai e di qualità - di mantenere il rapporto col pubblico, rischia di scontrarsi con difficoltà economiche crescenti. La capacità di reazione mostrata dall'esercizio di fronte alla novità travolgente del lockdown rappresenta un elemento di speranza, ma non si possono nascondere le ombre che provengono dalle difficoltà economiche - già ormai sperimentate - e dai nuovi modelli di business - per esempio l'uscita dei film sulle piattaforme prima che in sala - che si annunciano nel prossimo futuro.

* Clicca qui per vedere nel dettaglio i paesi rilevati alla fine del 2019

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